martedì 17 aprile 2018

Antonino Russo





Un cammino silente, in raccoglimento e preghiera interrotta saltuariamente da qualche vocina di bambino che tra l’incuriosito, l’impaurito e l’emozionato, ci chiedeva di scattare una foto con lui o, semplicemente, ci salutava.

Tra queste voci ho riconosciuto in via Duomo quella dei miei figli e ho visto poco distante da me mia moglie: la mia famiglia, il mio sostegno più grande.

Il più piccolo dei miei figli mi ha detto con un certo piglio, avvicinandosi: “Papà, a casa ci rimproveri quando camminiamo scalzi e qui tu…”
San Domenico era gremita, difficile anche raggiugere il simulacro della Vergine e l’altare della reposizione magistralmente adornato così come di forte impatto era quello del Duomo e di San Giuseppe.

Nella nostra Chiesa, infine, l’abbraccio forse più commovente con gli altri Confratelli sotto l’effige del Crocifisso.

Dopo aver baciato lo Scapolare e deposto l’abito di Rito, la mente era già alla Processione dei Misteri.

La mattina del Venerdì Santo, Alessandro mi raccontava che, preso dalle attività di preparazione del triduo, aveva dimenticato dal giorno precedente la sua bicicletta legata ad un albero accanto all’ingresso di Via Giovinazzi: se questo “testimone” particolare avesse potuto parlare, ci avrebbe raccontato dei volti di tutti noi Confratelli diretti al Carmine per percorrere il Pellegrinaggio.


Di piedi stanchi, del rumore dei bordoni, di porte che si aprono, di marce funebri che riempivano aria e cuori, di cappelli che da lontano, in prospettiva, somigliavano ad un fiume nero interrotto dall’azzurro dei nastri, del tintinnio dei Rosari, di guanti e vesti candide, di mozzette che sanno di cura delle nostre mogli, delle nostre mamme.

Ci avrebbe parlato di volti celati da un cappuccio ma con lo sguardo fisso verso Cristo.